"[...] Fine non è parola familiare a Bruno Pinto [...] Ogni lavoro di Pinto più che segnare un traguardo, un punto di arrivo preciso, rappresenta un momento transitorio all'interno di un dialogo, in continua evoluzione, tra il pittore stesso e il mondo, o meglio tra tutti i sé del pittore che si susseguono nel tempo e il mondo. Con tali presupposti, appare riduttivo parlare di ultima produzione poichè siamo di fronte a un continuum riflessivo e creativo in cui la negazione del finito non si traduce solo in non finito ma anche in infinito: come l'evoluzione del pensiero, anche l'elaborazione della pittura è senza fine. Il concetto di Infinito non può non evocare la dimensione del divino per l'opposizione alla finitezza dell'uomo, cosicché l'opera di Pinto, diviene anche un'operazione contemplativa e un simbolo del confronto/incontro tra l'io e Dio e la sua pittura tensione continua vero una dimensione altra o oltre. [...]"
Lorenza Miretti, "Difficile chiamarli semplicemente ultimi", Mete, 9, n.3 (Bologna 2015), pp. 84-86