"Per Pinto il tempo e lo spazio non sono 'finzioni' ma le vere strutture di articolazioni dell‘esperienza: in questo preciso senso la sua pittura è anacronistica.
In essa non si manifestano manierismi, ma sempre dichiarazioni di contenuti che emergono, che attraverso la pittura devono raggiungere una definizione, un primitivo e plausibile tracciato di confine […]. Lo spazio e il tempo della pittura di Pinto sono lo spazio e il tempo del fondamento, del suo palesarsi, del suo esprimersi in strutture percettive, in un linguaggio visivo: una narrazione di un unico verso, decisivo, evento fondante che la memoria non può (o non vuole) eliminare perché in essa si è radicato con violenza, con assolutezza. […] Eppure pensare ai lavori di Pinto in questa dimensione sembra a chi scrive presupporre di aver oltrepassato una linea di confine che invece è costantemente incerta (ed in certi casi è la condizione della stessa poesia): quella che distingue - ma proprio per questo tiene anche in relazione-il nesso logico e pre-logico, tra funzioni conoscitive forti e saperi metaforici. […]
La 'verità' per Pinto, si dà ed è misurabile; non risiede nel gusto, né nell’attualità, né tanto meno, nell’intuizione.
Non può essere presidiata da uno stato di allucinazione, bensì è valutabile in relazione al campo mentale che rende operative le idee, i processi di esecuzione, la ricerca.
L’arte è, allora, costruzione di finalità… è speranza. […]"
Bruno Bandini, in Cat. Bruno Pinto. Opere dal 1953 al 1987, a cura di Claudio Cerritelli, premessa di Filippo Sassoli dè Bianchi, con scritti di Enrico Cesare Gori, Concetto Pozzati, Luciano Nanni, Bruno Bandini, Vezio Ruggeri, Giuseppe Dossetti, Bruno Pinto. Nuova Alfa Editoriale, 1987 cit., p.49