"Forse l‘indagine psicoanalitica offre una rappresentazione plausibile dello sviluppo umano quando ci mostra il 'buco' percettivo; sensazione oscura che ci coglie se ci osserviamo dentro senza preconcetti.[…] Vorrei cominciare da "La Valle", che si pone nel mezzo del percorso creativo di Bruno.
La Valle è il podere sperduto nelle montagne cui Bruno approda nella fase di rigetto degli stereotipi culturali. […] Questa sensazione oscura viene elaborata nel mito del Poeta capace di sopportare la propria angoscia e paura, in modo da creare immagini per gli altri. Questo si propone di fare B. Pinto.
Egli dice che cercava nella 'Valle', né più né meno, di 'vedere quel che non si vede'. […] Ognuno per crescere e creare deve affrontare i contrasti fra reale e psichico, amore ed odio, umano e sublime. Ognuno deve alternativamente non vedere e vedere la realtà, per sopravvivere. In Bruno da una parte il lavoro di crescita è volto ad eliminare stereotipi culturali con il recupero della capacità mentale originaria.
Con gli strumenti della critica scruta a realtà. […] Con un lavoro intenso e doloroso organizza un mondo ordinato su due livelli 'il sensibile ed il sovrasensibile': mondo percorso ed unificato dalla vocazione e dal problema.
Il 'Problema' è: come 'riuscire ad incarnare le cose intuite?'. […]
Per la psico-analisi l’esperienza diviene intuizione quando la struttura psichica può usare la riflessione in senso transitivo; esiste una gran differenza tra lo specchio che riflette l’immagine e l’ Io che riflette sui contenuti.
Per evitare tale distinzione si offre all‘uomo la tentazione mistica, che trasforma il mondo sensoriale in contemplazione estatica sconfinante spesso nella nell‘estetica e altrettanto spietata.
Bruno non elude il passaggio, e anzi si butta dentro all’orgasmo cosmogonico.
Però come ogni sincero impostore, ci istilla il dubbio: è pur vero?
Ancor più impaurisce la 'Vocazione' alla pittura: chi lo chiama chi ci chiama?
[…] Sul fondo permane la tensione allucinata che cerca a rappresentazione: il quadro non esiste se non come metodo di conoscenza. Così come l’allucinazione precede il pensiero reale. Ciò egli dice mentre confonde i piani consci ed inconsci della sua esistenza spinto dall’ansia creativa.
[…] Scoppia la rappresentazione inquietante del 'Ceppo' (il non- familiare). L’oggetto naturale, non banale, raccolto sul greto del fiume a Monteveglio, è veramente un brano mitopoetico. Che ripete il gesto del primo uomo: di colui che ha trasferito nella scultura naturale il riflesso del proprio volto rifratto dallo specchio d’acqua, volto rifratto e spezzato, volto vago e allucinante. […]
Se ci avviciniamo alla tela vediamo zone contenute nel Ceppo, e soprattutto il gioco dello sfondo offrire quella che Bruno dirà essere il dominio della dissociazione reale mediante la dissociazione formale. […] La sensualità sensoriale dell’atto pittorico mi apparve nella sua vivezza al di sotto della razionalità pittorica. Era presentazione virtuale tutto ciò che Bruno sentiva: Il congelamento dei muscoli, il fermarsi del respiro, la spinta oscura che scavalca la paura 'finché non si percepisce il corpo in modo paradisiaco'. Delle sensazioni troviamo traccia nelle rappresentazioni del quadro. Ritroviamo in ciò la la percezione sensoriale primaria, la confusione imitativa della cosa che promuove l’identificazione preparatoria del distacco, quale è descritta dalla metapsicologia. Nella clinica vediamo il passaggio dalla imitazione alla identificazione durante il processo di crescita; qui lo vediamo preparare (Bruno parla di presagi) il distacco prima dalla confusione primaria (oggetto, corpo, tela), poi dal quadro finito. Tutto poteva avere un senso reale, dice Pinto, solo se il processo tumultuoso creava l’oggetto ed in questo concordo con lui.
Al contrario la conoscenza dell’ Inconscio reale ci spinge, mi pare, a mettere da parte il tentativo 'di condizionare' con le idee i ritmi di base; tanto questi seguono il loro corso naturale con gli acmi e gli svuotamenti che si succedono.
L’amministrazione della ' forma oscura' avviene per un lavoro naturale volto non a condizionare ma a governare e a rigovernare l’Inconscio .
Certo che tutto ciò: gli organi sensoriali e i relativi silenzi o svuotamenti, sono terrificanti. Perché depersonalizzano.
Ma il presentire viene da noi, non da Altrove, o meglio l’Altrove siamo noi, l’ Altrove è la nostra mente confusa con la natura. […] La sua avventura mentale è precisa: essa non è distinguibile in un singolo quadro, ma unisce tutti gli altri in un enorme affresco. […] Quando ci rendiamo conto che l’interno è psichico e virtuale lasciamo la situazione allucinante delle presentazioni e ritroviamo l’oggetto reale. Ecco rappresentata l’eterna contrapposizione tra reale e psichico.
In ciò Pinto partecipa della grande avventura umana, nel suo mondo 'mediano' che, a ragione, difende a spada tratta." .
Enrico Cesare Gori, in Cat. Bruno Pinto. Opere dal 1953 al 1987, a cura di Claudio Cerritelli, premessa di Filippo Sassoli dè Bianchi, con contributi di Enrico Cesare Gori, Concetto Pozzati, Luciano Nanni, Bruno Bandini, Vezio Ruggeri, Giuseppe Dossetti, Bruno Pinto. Nuova Alfa Editoriale, 1987 cit., p.34
Epistolario in Per uscire dalla Valle. Critica di me stesso, a cura di Omar Calabrese, La Casa Usher, Edizione Ponte alle Grazie Editori, Firenze, 1992